Biougualità

Nel dibattito sulla sostenibilità si parla ormai incessantemente di biodiversità e della sua salvaguardia, ponendo giustamente l’accento su un problema che sta inesorabilmente crescendo nel corso degli anni: la perdita di ecosistemi e di specie viventi.
Sarebbe tuttavia necessario alzare il tiro della riflessione per concentrarsi sui motivi profondi di questo squilibrio, collegandolo alle nostre abitudini alimentari.
Mi viene allora un altro termine – poco scientifico ma probabilmente di facile comprensione anche per il lettore meno esperto – per definire il contenuto di questo nuovo articolo: biougualità.
La mia è ovviamente una provocazione perché questo termine non esiste, eppure potrebbe essere quello che meglio descrive la situazione in cui si trovano le nostre abitudini alimentari e l’industria agricola che le soddisfa.
Secondo un recente rapporto del WWF, infatti, il 75% del cibo prodotto deriva da 12 piante e 5 animali.
Questi dati ci devono far riflettere su almeno un paio di problematiche:
La totale noncuranza da parte dell’azienda alimentare (e dei consumatori) al mantenimento della biodiversità e del suo equilibrio
La fragilità a cui questa scelta ci espone
L’assoluto appiattimento della proposta complessiva

Ci chiediamo perché negli ultimi decenni le intolleranze alimentari siano aumentate, perché la biodiversità appaia un concetto sempre più precario, perché le pandemie siano problemi che potrebbero ripresentarsi periodicamente: finché continueremo su questa strada, verso questa direzione “monocolturale” e poco differenziata della nostra alimentazione, i rischi continueranno a salire.
Sperando che, in un giorno lontano, qualcuno si renda conto che dipendere da così poche specie animali e vegetali non è solo poco etico ma anche terribilmente rischioso, per loro e per noi.

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