Cattiva assuefazione

Nel mondo succedono ogni giorno un sacco di avvenimenti e fatti che lo sconvolgono e lo plasmano continuamente: veniamo da due anni di pandemia e paure, di distanziamento sociale forzato e limitato contatto tra individui; inoltre da (quasi) due mesi ci siamo imbattuti anche nello scenario della guerra, che credevamo anacronistico e infattibile nel nostro territorio europeo.
Tutto questo ci sconvolge e ci debilita ma, sorprendentemente, non ci abbatte definitivamente. Siamo usciti tutti, chi più chi meno, dalla pandemia. Qualcuno magari con le “ossa rotte”, emotivamente scosso, eppure sono fermamente convinto che la maggior parte delle persone abbia comunque viaggiato spedita oltre questo periodo di grande incertezza e sia tornata alle proprie singole vite. 
Questa cosa mi sorprende e mi affascina allo stesso tempo. Come si può, in periodi come questo – segnati da profonde mutazioni – dimenticare la realtà globale e concentrarsi sul particolare del proprio contesto?
È una domanda attuale, che potremmo abbinare benissimo a varie situazioni: Covid, guerra in Ucraina, ma anche e soprattutto cambiamento climatico. Sono ancora nitide infatti le immagini di questa estate in Germania, o quelle degli incendi in Australia. 
Immagini che sono la “cartina al tornasole” della situazione di disequilibrio ecologico del nostro pianeta. Eppure molte, moltissime persone, tendono a sottovalutare il problema. Perché?
Semplicemente perché esse sono spinte dalla logica vista precedentemente, pensano infatti che il problema non le riguardi, poiché non si presenta direttamente nelle loro vite. Questo meccanismo di difesa/dimenticanza permette a tutti gli esseri umani di vivere quotidianamente la propria vita in modo sereno, ma al tempo stesso li distoglie dalle grandi urgenze del presente. 
Scrive bene Jeremy Rifkin, in uno dei suoi scritti illuminanti
Impariamo per partecipazione. 
Esaustivo, l’economista e sociologo americano ci ricorda la miopia del nostro sguardo, mai complessivo, mai sbilanciato verso un altrove più ampio. Sempre (nel bene e nel male) ancorato al qui e ora. Il nostro, punto. 
Questo meccanismo di difesa ci salverà dai mali futuri? O è solo una pillola alleggerita in vista di nuovi, drammatici cambiamenti?

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