Ognuno di noi produce rifiuti. Questa non è solo una verità oserei dire scientifica inattaccabile ma anche (e soprattutto) un buon spunto teorico da dove partire quando si parla di circolarità.
Abbiamo spesso accennato alla plastica come al “materiale demonizzato per eccellenza” dall’opinione pubblica, soprattutto negli ultimi anni dove la coscienza ecologica dei consumatori sta lentamente (ma costantemente) crescendo.
Quali sono gli effetti tangibili della plastica sugli ecosistemi? Eccone uno: più del 60% delle plastiche prodotte nel 2017 sono state disperse nell’ambiente e negli oceani. Questo materiale richiede tempi molto lunghi per potersi degradare, dai 50 ai più di 100 anni, secondo le condizioni ambientali. Il lento degradarsi delle plastiche in mari e oceani ha portato ad uno squilibrio di fauna e flora marine, tanto che non è casuale imbattersi sempre più spesso in immagini di enormi cetacei agonizzanti sulle spiagge pieni di plastiche nello stomaco.
Il problema esiste ed è realmente uno dei grandi pericoli per presente e futuro.
In uno dei primi articoli di questo blog ho già avvertito sull’effettiva impossibilità di eliminare in toto l’uso della plastica, dobbiamo dunque trovare modalità alternative di smaltimento e riciclo di questo materiale.
Cosa accadrebbe se potessimo (bio) degradare le plastiche convenzionali in tempi più veloci o comunque convertirle in nuovi bio prodotti utili?
Possiamo agire come sempre attraverso due vie diverse tra loro: una teorica e una più prettamente pratica e fattibile al nostro contesto.
Una possibile strada è il riciclo su base enzimatica. Di cosa stiamo parlando?
Studi accertati hanno rivelato che più di 90 microorganismi, inclusi batteri, microalghe e muffe sono stati identificati come entità biologiche in grado di degradare le plastiche in laboratorio o quantomeno di possedere il “tool degli attrezzi molecolari” per poterlo fare. Un esempio è il polietilene, che può essere depolimerizzato (cioè “smontato” in unità polimeriche più semplici) e “assimilato” nelle cellule di diverse specie di batteri (come Bacillus, Pseudomonas) o funghi (come Aspergillus) grazie all’azione di particolari enzimi (proteine in grado di catalizzare reazioni biochimiche o fungere da “forbici molecolari”).
Di fatto, questi microrganismi “mangiano” la plastica, degradandola e smaltendola in modo assolutamente naturale. È una strada percorribile o stiamo parlando di pura fantascienza?
La biotecnologia pionieristica consiste nell’isolare e produrre su larga scala questi enzimi e farli lavorare in condizioni controllate dall’uomo, sia per depolimerizzare le plastiche nelle unità più semplici (ovvero i monomeri) da cui rigenerare il polimero in circuiti virtuosi di riciclo, sia per convertire le plastiche in biomassa e nuovi bio-prodotti ad alto valore. Come sappiamo, la tecnologia attuale permette già di isolare e produrre enzimi su larga scala per altri scopi.
Nonostante il riciclo enzimatico sia ancora una pratica più prettamente teorica che pratica, esistono già alcuni importanti progetti “pilota/industriali” avviati a livello internazionale e una crescente casistica di studi applicati, tali da rendere il riciclo enzimatico/microbico concreto e promettente nel breve-medio periodo su larga scala.
È una via certamente allettante che risolverebbe moltissimi problemi.
Esiste poi una strada maggiormente pratica che può consentire comunque alle industrie di fare qualcosa di concreto nel breve periodo: sto parlando del riciclo chimico (o molecolare).
Questo processo sfrutta agenti chimici avanzati che modificano direttamente la formulazione chimica della plastica permettendo di riciclare potenzialmente “all’infinito” il polimero plastico con un’efficienza maggiore dei binari convenzionali di riciclo meccanico. Alcune di queste tecnologie si basano sul riscaldare la plastica in atmosfera priva di ossigeno (pirolisi) o con concentrazioni limitate di esso (gasificazione o syngas) in modo da “spezzettare” il polimero plastico in unità polimeriche più semplici. Le molecole derivanti da questi complicati processi sono quindi utilizzate come feedstock nei procedimenti convenzionali di raffinazione per generare nuove unità polimeriche da cui sviluppare nuovi polimeri plastici ad un grado di purezza simile a quello vergine.
Ciò che colpisce in questa tecnologica è che essa può essere applicata anche a plastiche contaminate e/o a polimeri vulcanizzati come la gomma, permettendo quindi di bypassare processi a bassa efficienza di selezione della plastica e ampliando le possibilità di riciclo.
Nonostante queste applicazioni tecnologiche abbiano ancora alcuni punti aperti in termini di competitività economica, sono già in campo miglioramenti sul consumo energetico e sullo sviluppo di varianti di processo più efficienti su scala industriale.
Entrambe queste due vie di riciclo forniscono potenziali risposte al grande problema della circolarità di un prodotto all’interno dei processi industriali.
Ciò non toglie l’assoluta necessità di un ridimensionamento dell’uso della plastica dove non necessario: in un altro articolo facevo riferimento alle scuole, nelle quali sono presenti spesso distributori di bottigliette in plastica quando basterebbe una fonte comune di acqua potabile e l’uso della borraccia da parte degli studenti.
La plastica non va dunque demonizzata completamente ma servono strumenti pratici che sappiamo riciclarla e smaltirla in tempi veloci, senza impatti insostenibili nell’ambiente, con accortezza e lungimiranza: in questo senso i due esempi di riciclo che oggi vi ho proposto possono migliorare notevolmente la situazione in atto.
Ecco le tre call to action di questa settimana:
- Per le tue abitudini quotidiane, abituati a trovare anche materiali alternativi alla plastica (l’esempio bottiglietta-borraccia calza sempre a pennello ed è esemplificativo)
- Se fai parte di una realtà produttiva che usa regolarmente materiali plastici, proponi un cambio di rotta verso una tipologia di riciclo chimico o molecolare
- La via verso il cambiamento passa anche attraverso il passaparola: condividi queste piccole basi teoriche con chi, come te, crede che un mondo più green (anche praticamente) sia possibile e necessario